lunedì 2 maggio 2011

SLAVITALIANI - di coach Andrea Serri

Andrea Serri si china per rispetto:
l'albero così appare più alto di lui...

Di ritorno dall'escursione slovena pre-pasquale, coach Serri ha scritto sul suo blog un pezzo in cui citava la differenza di allenamento tra la scuola cestistica slava e quella italiana. Incuriosito da questo argomento ho chiesto al buon Andrea di fare luce scrivendo un pezzo prettamente tecnico da pubblicare qui sul blog. Ne è uscito un punto di vista molto interessante e naturalmente qualificato. Grazie coach!



SCUOLA SLAVA, SCUOLA ITALIANA: UN ABISSO GRANDE GRANDE!

di Andrea Serri

Dopo aver partecipato sia al torneo di Porec (con gli Aquilotti del 2000) che alle amichevoli di Lubiana (con gli Under 13 del 1998) ho avuto modo di ripensare a quelle esperienze in chiave critica, mettendo a confronto il loro modo di pensare (e di lavorare) con il nostro. Le differenze sono abissali.
Per prima cosa è differente il tessuto sociale. In Croazia (ma meno in Slovenia) lo sport, in particolare il basket, è strumento di riscossa sociale. Un po’ come succedeva in Italia negli anni '60 quando i contadini e gli operai mandavano i figli all’università perché migliorassero la loro posizione sociale. Nasce da questo semplice ragionamento il modo diverso con cui tecnici ed allenatori slavi, ma anche giocatori, scuola e famiglia, si approcciano alla pallacanestro. Un approccio forte, scarsamente pedagogico e molto selettivo. A Porec abbiamo incontrato squadre serbe, slovene e croate, ma tutte avevano in comune le scarse rotazioni. Da noi in Italia i bambini fino a 11 anni devono, per regolamento della Federazione, giocare tutti lo stesso numero di minuti. Questa esigenza nasce dall’obbiettivo educativo di tenere coinvolti anche quelli più indietro, dandogli la possibilità di giocare lo stesso, ma anche di non far sentire troppo fenomeni quelli più avanti: anche il più forte della squadra deve pensare di non essere indispensabile e di poter essere sostituito. È un regolamento che predilige quindi l’aspetto educativo. Da noi non sono ammesse né marcature a zona, né blocchi ed il regolamento è semplificato. Nella ex-Jugoslavia non è così: si può fare tutto, o meglio, si applicano le regole della pallacanestro dei grandi anche ai bambini. E questi devono saper fare tutto quello che sanno fare anche gli adulti.
Questo lo fanno tutti, in tutte le parti del mondo: lo scorso anno i '99 andarono a Matera ed incontrarono squadre libanesi, lituane, polacche: tutte facevano zone, blocchi e schemi più o meno strutturati.
In Italia, giustamente a mio parere, privilegiamo l’aspetto educativo, creiamo i gruppi, cerchiamo di far sentire tutti importanti, prevenendo così eventuali abbandoni precoci. Fisicamente sono ancora acerbi, qualcuno potrebbe esplodere più tardi, meglio tenere tutti coinvolti.
Morale della favola: noi giochiamo in 12 come a Lubiana o 14 come a Porec, tutti stanno in campo dai 10 ai 20 minuti, giochiamo liberi di occupare gli spazi e non con schemi strutturati, e in difesa siamo uomo contro uomo. Loro fanno zone, pressing, raddoppi, pick and roll, isolano quello più forte per giocare 1 contro 1, hanno schemi da prima squadra. Ma anche un gran talento a supporto di questa organizzazione. Per noi la pallacanestro è per tutti, per loro è solo per quei 6-7 che giocano meglio.
Vi lascio con una cartolina: siamo a Porec, nella prima partita incontriamo una squadra slovena. Vado con Livio dall’allenatore avversario e gli chiedo se posso giocare con 14 giocatori (anziché 12) lui mi risponde che è un problema nostro. Io e Livio ci guardiamo perplessi poi vediamo che lui ne ha 7 e basta. I bambini non parlano con lui, sembrano degli automi, è lui che quando vuole parla con loro (notare la finezza!) ma soprattutto su 32 minuti, 30 li hanno giocati in 5. E gli altri due applaudivano i compagni ed hanno giocato gli ultimi due minuti. Noi abbiamo perso di 30, giocato tutti lo stesso tempo e avevamo qualche sorriso in più di loro! Chi ha ragione?

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